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Alle sei in punto lascio la stanza. Mi chiedo se troverò un bar aperto per la colazione, ma appena metto piede in strada scopro che la vita a Ururi è già cominciata da un pezzo. Trattori di ogni tipo sferragliano lungo le vie e il primo bar è pieno di avventori. Non c’è da stupirsi: Ururi vive di agricoltura, e qui il giorno inizia presto. Passeggiando per il paese mi accorgo che tutti i bar sono già aperti.
Mi aspetta un’altra giornata di asfalto, prezzo inevitabile da pagare per attraversare il fiume Biferno senza doverlo guadare. Pazienza: stavolta seguirò quel che resta del Tratturo Sant’Andrea – Biferno.
All’uscita dal paese un cartello mi saluta: “mirë si erdhet rur” (Benvenuto a Ururi). È il segno che mi trovo nell’enclave Arbëreshë del Molise. La sua storia è strettamente legata ai tratturi e merita un accenno: nel 1447 re Alfonso d’Aragona istituisce la Dogana della Mena delle Pecore di Foggia, creando il sistema legislativo che regolerà la transumanza per secoli. Pochi anni dopo l’Albania cade di nuovo sotto il dominio ottomano e molti profughi si riversano nel Regno delle Due Sicilie. Alfonso favorisce quell’immigrazione per ripopolare un Molise quasi disabitato: i pastori transumanti avevano bisogno di comunità locali che li rifornissero di cibo e beni. Così nasce e sopravvive fino a oggi questa enclave, dove ancora si parla un dialetto molto vicino all’albanese.
Dopo 3,5 km finalmente lascio l’asfalto. Il primo tratto di sterrato è invaso dalle sterpaglie e procedo lentamente, ma quando mi reimmetto sul vero tratturo il passo si fa più spedito e il piacere aumenta.
Costeggio una centrale elettrica, seguendo i tubi di un nuovo metanodotto, tracciato naturalmente lungo il tratturo. Poi di nuovo asfalto: una strada poco trafficata che corre proprio al centro del percorso. Paziento fino al nono chilometro, quando ritrovo la terra battuta e la prima discesa verso il Biferno.
Mentre scendo, in direzione opposta arriva un’auto. Mi sposto per lasciarla passare e il conducente abbassa il finestrino: è Antonio!
- Mi hai ingannato - esclama - Mi avevi detto che saresti partito presto e invece sei ancora qui! Sono ore che giro per i tratturi di Montecilfone senza trovarti!
Guardo l’orologio: sono le 8:30. Sono partito alle 6:00, con il sorgere del sole, e in due ore e mezza ho già coperto nove chilometri, niente male con lo zaino che mi porto dietro. Gli chiedo:
– Secondo te, a che velocità può andare uno a piedi con uno zaino così?
– Mah, intorno ai 15 km/h - risponde lui.
Lo guardo sconsolato: forse crede che mi stia muovendo a cavallo.
Restiamo a parlare un po’ della situazione in Molise (e io ne approfitto per riprendere fiato). Antonio mi fa notare l’alto numero di mezzi agricoli che passano: alcuni non riesco nemmeno a riconoscerli. Si lamenta del fatto che la regione abbia puntato quasi esclusivamente sull’agricoltura, distribuendo pesanti incentivi per l’acquisto di macchinari. Il risultato è che anche il contadino con un piccolo appezzamento possiede un mezzo proprio, spesso sovradimensionato rispetto alle necessità. È uno spreco evidente, ma a me non sembra poi così grave. Antonio però insiste: i giovani stanno abbandonando la campagna e i paesi dell’entroterra si stanno svuotando. Presto non ci sarà più nessuno a guidare tutti quei mezzi. Forse – riflette – sarebbe stato meglio orientare i finanziamenti verso qualcosa capace di attrarre i giovani.
Con suo figlio, per esempio, ha realizzato dei murales a Ururi e nei paesi vicini, sperando che possano diventare una piccola attrattiva turistica.
- Se i borghi rurali hanno poco da offrire – mi dice – bisogna inventarsi qualcosa di nuovo.
Intanto, dalle auto che ci superano, arrivano continui saluti diretti ad Antonio (ma quanto è conosciuto?). Ci scambiamo finalmente i numeri di telefono, poi lo saluto: il sole comincia a picchiare forte e devo rimettermi in cammino.
Da qui in avanti è un susseguirsi di piccole discese fino al famoso ponte che mi permette di attraversare il Biferno evitando il guado. Quest’anno c’è persino più acqua.
Mi concedo una sosta all’ombra di alcuni ulivi, prima di affrontare la lunga salita finale verso Montecilfone, in pieno sole, su asfalto e senza un albero che dia riparo. Quest’anno, per di più, non ci sono neanche “Cuor di Leone” e l'allegra compagnia al mio fianco.
Arrivo in paese stremato e mi fermo nello stesso bar dell’anno scorso. Stessa scena: chiedo se c’è un posto dove mangiare, ma è tutto chiuso. In compenso mi offrono dei pezzi di pizza avanzati dal loro pranzo. Faccio notare che l’anno precedente mi era andata meglio, con una frittura di totani: ridiamo insieme di gusto.
Come anticipato, ometto la descrizione della tappa successiva da Montecilfone a San Salvo in quanto è identica a quella del 2024 e non si sono verificati eventi di rilievo da riportare. Il racconto ricomincia a partire da San Salvo, con le tappe lungo il Tratturo Magno necessarie per arrivare a Serracapriola.
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